Progetto della scala a disegno
Oggi vi parlo di un progetto che si è sviluppato nel corso di un anno di studio e lavorazione, è un racconto sintetico per descrivere come spesso le difficoltà sono la molla che permette lo sviluppo di nuove idee.
Era la primavera del 2013 quando il Sig. Giovanni ci ha contattato per sottoporci il suo problema, si trattava di inserire una scala in un negozio di arredamenti dell’alta Valle Camonica,
La prima ipotesi che abbiamo affrontato su richiesta e disegno del cliente era di inserire una scala in acciaio inox, con uno sviluppo elicoidale. Abbiamo valutato in questa fase solo l’aspetto estetico simulando con alcuni rendering la scala.
Fin qui nulla di particolare.
Dalla successiva valutazione strutturale emergevano però diverse complicazioni:
- Il pavimento di appoggio della scala non consentiva di effettuare fissaggi in profondità per la presenza di diverse tubazioni ed in particolare del riscaldamento a pavimento posizionato a soli 6 cm di profondità.
- Abbiamo visionato le travi in legno della copertura alle quali si era pensato di poter ancorare tiranti di sostegno per i cosciali della scala, ma anche qui l’analisi dei carichi ammissibili sulla copertura in legno non ci permetteva di seguire questa ipotesi.
- La scala doveva essere certificata per uso pubblico, ciò significa certificare un carico di 400 kg al metro.
Eravamo ad un punto di stallo, cercavo soluzioni al problema, ma non avevo idea di come avrei potuto risolverlo, nella pratica la scala poteva essere fissata solo nella soletta superiore, senza altri vincoli importanti.
Le ipotesi percorribili ci obbligavano a pensare a soluzioni con punti di appoggio a terra, per i quali abbiamo eseguito simulazioni fotografiche che vedete qui sotto.
Ma il sig. Giovanni con assoluta decisione ha scartato anche questa ipotesi.
D’altra parte aveva idee molto chiare, voleva una scala aerea, non voleva vedere tiranti, muretti, punti di appoggio, insomma voleva qualcosa che pensavo impossibile, gli dissi che la scala elicoidale in acciaio che voleva non potevo realizzarla e non l’avrei realizzata.
A questo punto ci sono stati alcuni mesi di sospensione nello studio, finché un pomeriggio il caro Giovanni ritorna a trovarmi in azienda.
Ormai si stava creando un rapporto che andava oltre quello che si instaura con un cliente, era parte attiva nella ricerca di soluzioni e assolutamente stimolante nella sua caparbietà certo che sarei riusci
to a trovare la soluzione.
Fu in quel pomeriggio che mi ricordai di un gioco che usavo da bambino e da quel ricordo nacque l’idea che cercai di spiegargli , qualcosa di molto fantasioso e mai realizzato prima.
Non sapevo in quel momento se potesse davvero funzionare, ma la mia proposta fu quella di realizzare una scala senza una struttura portante visibile, una scala in cui avrebbe visto solo il gradino e la ringhiera.
Cercai di spiegargli cosa stavo immaginando e non so come riuscì a capire l’intuizione.
Quella sera stessa nacque questa nuova sfida.
Iniziai a lavorare sul concetto di una struttura che sostenesse gradini a sbalzo da 130 centimetri. La struttura doveva sostenere i carichi senza prevedere fissaggi a pavimento in profondità e senza supporti esterni, senza caricare il pilastro in muratura presente, utilizzando esclusivamente il fissaggio nella soletta superiore.
Spesso si parla di scale autoportanti, ma credo che questa sia la prima vera scala che si possa definire autoportante.
Come dicevo, iniziai subito a stendere i primi progetti della scala per sottoporli al mio ingegnere strutturista, dopo alcuni giorni mi incontrai con l’ing. Alessio Migliorati, e gli presentai i primi dettagli di quello che volevo realizzare, gli spiegai come avevo pensato i collegamenti, quali erano i punti di fissaggio, la tipologia di struttura interna e gli consegnai il primo progetto preliminare per una valutazione sulle criticità.
Quando mi arrivò la mail dall’ingegnere guardai i risultati della verifica, scorrendo le 20 pagine di calcoli e grafici con la sola parola che volevo leggere in fondo: Verifica di tutte le condizioni di carico e deformazione Positiva.
Ora, mi dispiace non mostrarvi i dettagli di questo progetto, ma alcune intuizioni restano un segreto.
A quel punto pur mantenendone la supervisione passai i progetti, i dettagli costruttivi ai miei collaboratori che ne proseguirono lo sviluppo.
dall’inizio del progetto all’esecuzione finale ci vollero circa 5 mesi di lavoro nei quali oltre a me e Mario sono intervenuti Ing. Alessio Migliorati, Fabio Guerrini, Enrico Tognassi, Massimo Roversi, Davide Roversi e Alessandro Roversi.
Non posso dimenticarmi di Giovanni Pasquini il quale ha avuto il permesso di seguire ogni fase dello sviluppo e della creazione, mai un cliente ha potuto intervenire in fasi così interne all’azienda, ma questo è stato un caso particolare, dove la determinazione ha permesso di strappare una soluzione unica.
Forse è per esperienze come questa che vi ho raccontato che il mio concetto di scala a misura è molto diverso da quello che in genere si intende nel mondo delle scale, per me, come per i miei collaboratori, la costruzione a misura va assolutamente oltre la possibilità di scegliere tra qualche colore o qualche misura, per me il modello standard non esiste, semplice no?